L’eccesso di carboidrati che ingrassa anche il fegato

fegato

Quando mangiamo un piatto di pasta o riso in dosi abbondanti, oppure pane, pizza e prodotti da forno, introduciamo una netta dose di carboidrati che vengono digeriti ed assorbiti a livello dei villi dell’intestino tenue. 

Dopo il pasto si ha così un brusco rialzo della glicemia e dell’ormone insulina nel sangue. L’insulina “prende” il glucosio dal sangue per collocarlo anche all’interno degli epatociti. 

E fino a quando è presente una certa quantità di glucosio nel sangue, c’è l’insulina che continua a fare il suo lavoro.

Il glucosio del sangue controllato dell’insulina viene stoccato sia nel fegato che in parte anche all’interno dei muscoli, è la loro benzina.

La tendenza ad ingrassare con facilità e con rapidità avviene quando si ha una minore massa muscolare. Infatti se introduciamo troppi carboidrati, il glucosio, derivato dai carboidrati alimentari, non può andare nel muscolo (non c’è!) e quindi la dose predominante di glucosio va all’interno del fegato. 

Se consideriamo inoltre, che per natura la donna ha meno muscolo dell’uomo, l’accumulo di glucosio all’interno del fegato, dovuta ad un surplus di carboidrati, fa “ingrassare“ più la donna rispetto all’uomo. Il motivo è tutto in questo processo biochimico. 

Inoltre, se non viene praticata attività motoria il muscolo non viene stimolato a mantenersi o crescere, ma anzi, assistiamo ad una rapida perdita dello stesso, causando ulteriore difficoltà al dimagrimento e non si dimagrisce più nonostante i grandi sforzi o diete “miracolose” (che non esistono). Ovviamente l’inattività e conseguente perdita di muscolo interessa anche il maschio. 

Così il glucosio non va nei muscoli, che non ci sono più, e va quasi tutto nel fegato con la conseguenza che una persona continua a mangiare nello stesso modo di sempre ed ingrassa perché ha perso muscolo! 

Meno muscolo vuol dire più glucosio dentro il fegato, vuol dire trasformazione del glucosio in grasso! (formazione epatica di acido palmitico).

Il fegato ingrassa e diviene fegato grasso (steatosi)

L’eccesso di glucosio, nel fegato viene trasformato in glicogeno, fino ad un preciso livello, che varia da persona a persona. 

Il glicogeno è una lunga catena di rete di molecole singole di glucosio unite tra loro. Ma il glicogeno pesa molto ed allora la natura consente di accumularne poco.

Superata la soglia di saturazione personale di glicogeno nel fegato, il glucosio in eccesso viene trasformato in acido palmitico, acido grasso che viene stoccato nei depositi adiposi del corpo umano. 

Questo processo biochimico è chiamato lipogenesi. Cioè il fegato produce grasso. 

Glicogeno e acidi grassi all’interno degli epatociti del fegato, causano la steatosi epatica, il cosiddetto fegato grasso. 

Oltre il 40 % delle persone adulte ed ancor più le donne in menopausa, in sovrappeso ed obese, hanno la steatosi epatica. Purtroppo questa patologia epatica è del tutto sottovalutata. 

Con la steatosi ed elevati livelli di glicemia e insulina nel sangue, non modificando lo stile di vita, è molto difficile dimagrire perché il corpo è spinto verso l’accumulo di grasso addominale, aumento di trigliceridi, colesterolo nel sangue. 

Come intervenire?

Sicuramente modificando lo stile di vita, prestando attenzione alla dose giornaliera di carboidrati (in particolare alimenti composti con farina raffinata!).

Per dimagrire occorre “scaricare” il proprio fegato di glicogeno e di grassi accumulati all’interno delle cellule epatiche; evitando il picco glicemico ad ogni pasto è la giusta scelta per dimagrire, per eliminare la steatosi epatica e per recuperare un sano peso corporeo. 

Preferire alcune volte nella settimana cereali integrali in chicchi (orzo, farro) non ridotti a farina raffinata come per la pastasciutta. Una porzione di farina messa in acqua genera colla per la presenza di glutine. Una porzione di cereali integrali messi in acqua generano germogli. 

La farina è un alimento “morto”. 

I cereali integrali sono alimenti vivi. 

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Senza zucchero o light, quale è la soluzione?

dolcificante

Il consumo significativo di zucchero, ormai lo sappiamo, ha numerose ricadute negative sulla salute (aumento del rischio di obesità, diabete, malattie cardiovascolari, carie e altre patologie), tanto che da decenni, anche l’ OMS raccomanda  una decisa riduzione nella dieta di questo  ingrediente.

L’industria alimentare ha così progressivamente  studiato e immesso nel mercato delle alternative artificiali allo zucchero, gli edulcoranti artificiali. Una lunga serie di sostanze che hanno tutte in comune la capacità di donare dolcezza a qualsivoglia alimento o bevanda a cui vengano aggiunte, senza però apportare calorie (o apportandone solo una quantità risibile per dose) e senza provocare, o quasi, innalzamenti della glicemia. I nomi sono conosciuti: aspartame, sucralosio, saccarina, acesulfame K, ciclamato, neotamo citando i più noti. Oggi la diffusione dei dolcificanti artificiali è immensa: cibi e bevande dolcificate artificialmente vengono consumati ogni giorno da milioni di persone. Il solo aspartame si ritrova in oltre 6.000 prodotti alimentari in tutto il mondo. I consumatori, in breve, hanno decretato il successo su base planetaria degli edulcoranti chimici e dei prodotti alimentari che li contengono al posto dello zucchero, attratti soprattutto dall’idea di non dover rinunciare ad alimenti dal gusto dolce senza temere per la linea.

Purtroppo, evidenze scientifiche – e non da ieri – confermano che i dolcificanti artificiali non costituiscono una strategia efficace all’esigenza del controllo del peso. Ciò che è emerso da una serie crescente di studi epidemiologici e sperimentali, ha acceso il dibattito sulla sicurezza di questi additivi, mettendone in luce i possibili effetti nocivi per la salute, a diversi livelli. Alcune di queste ricerche hanno riscontrato l’esistenza di una relazione tra consumo di dolcificanti chimici e maggiore incidenza di ipertensione, sindrome metabolica, obesità, diabete di tipo 2, eventi cardiovascolari e cancro, riconducibile anche all’impatto non trascurabile che hanno i dolcificanti sul nostro microbiota intestinale.

Proprio recentemente sul legame tra dolcificanti artificiali e cancro  è stato pubblicato uno studio Francese che ha analizzato addirittura i dati di quasi 103.000 persone partecipanti allo studio.

I ricercatori d’oltralpe hanno rilevato che i soggetti abituali al consumo di dolcificanti artificiali, in primo luogo, aspartame e acesulfame K – presentavano rispetto ai non consumatori un rischio maggiore di cancro in generale, con rischi specifici più alti per il cancro al seno e alcuni tipi di tumori collegati all’obesità.

Si tratta, dunque, di conclusioni che chiaramente non supportano l’impiego dei dolcificanti artificiali come alternative sicure per lo zucchero negli alimenti o nelle bevande.

Quale può essere quindi una soluzione? Quella che ormai da anni invito ad adottare: non abusare né con lo zucchero o i suoi surrogati più o meno naturali (miele, fruttosio, sciroppo d’agave, zucchero di canna benché integrale, zucchero di cocco ecc.), né con i dolcificanti artificiali. Ovviamente, senza fanatismi: è la dolcificazione “a prescindere” quella da rifuggire. Un dolce ogni tanto (se fatto in casa magari diminuendo la quantità di zucchero indicata nella ricetta) nell’ambito di un’alimentazione complessivamente sana e di un altrettanto sano stile di vita che preveda anche dell’attività motoria, non fa alcun male, che sia dolcificato con zucchero o con gli edulcoranti di sintesi.

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