È LA STAGIONE DELLA FRUTTA

È primavera e si avvicina l’estate, per chi non se n’è ancora accorto, guardatevi attorno: stanno esplodendo i colori. La frutta colorata che inizia a comparire in questa stagione non solo è buona, ma anche molto sana e soprattutto utile per le richieste fisiche di stagione: infatti con l’arrivo della bella stagione ci muoviamo un po’ di più rispetto l’inverno, e gli zuccheri della frutta ci danno una mano in questo, inoltre la frutta giallo-arancione è ricca di carotenoidi che sono di supporto anche alla protezione dai raggi solari.
In più è particolarmente ricca di potassio e magnesio, che aiutano a mantenere regolata la pressione sanguigna (cosa utile quando fa caldo).
La presenza importante di antiossidanti, poi, aiuta a mantenere in salute e svolge funzioni utilissime per arrivare preparati e meno infiammati ad affrontare il successivo inverno.
La frutta fresca, ma così come la verdura, rappresenta un ottimo alleato nutrizionale quando si sta cercando di assumere meno carboidrati, anche a rapido assorbimento. La frutta fresca, infatti, contiene validi nutrienti (acqua, fibra, sali minerali, vitamine) a fronte di pochi carboidrati ea lento assorbimento rallentati appunto dalle fibre (il mio consiglio, comunque, è di non esagerare e mangiare assieme alla frutta fresca della frutta secca).
La frutta fresca può tranquillamente essere consumata al pasto(consumata con il pasto, non sostituire un pasto), così da portare ulteriore colore sulla tavola, con l’avvertenza di masticarla molto bene, e per chi non fosse abituato alla sua assunzione, e si temono problemi di gonfiore, lo si può dribblare mangiandola a inizio pasto invece che alla fine e mettere in atto le stesse attenzioni suggerite per il consumo di leguminose per chi ne avverte il fastidio.
I sali minerali e le vitamine contenuti in questi alimenti che la natura ci offre, stimolano con delicatezza le difese immunitarie, salvaguardando la salute a tutto tondo.
L’assunzione abituale di frutta e verdura sarà d’aiuto non solo nel proteggersi dai malanni di stagione, ma anche, ad esempio, a tenere giovane la pelle e sano l’organismo in tutte le sue declinazioni.
Ricordo che moltissime delle patologie più diffuse hanno sotto di sé una componente infiammatoria cronica di basso grado che ne stimola e/o rende possibile la comparsa.
La frutta, come la verdura, andrebbe il più possibile mangiata con la propria polpa o la propria buccia per sfruttare il più possibile le qualità antiossidanti e la ricchezza del frutto in sostanze utili al buon funzionamento dell’organismo.
Per questo è utile lavarla bene prima di magiarla e magari sceglierla biologica.
Un’altra indicazione importante è quella di usare frutta e verdura il più possibile matura e vicine al momento del raccolto così da avere il massimo quantitativo possibile di vitamine buone e antiossidanti.
Un consiglio che vi dò, è di non speculare quando acquistate questi cibi freschi: vedo sui carrelli dei clienti del supermercato frutta che magari viene da paesi extra nazionali o addirittura extra europei solo perché con il prezzo più basso, e il resto della spesa composta da birre, patatine, merendine, succhi di frutta ecc… che di sano hanno ben poco! Evitando questi ultimi acquisti, e investendo in prodotti freschi, il guadagno finale è la tua salute!

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DOLCIFICANTI ARTIFICIALI: supporto al dimagrimento o no?

È un dibattito sempre aperto quello sull’uso dei dolcificanti a zero calorie nelle diete, tant’è che le nuove linee guida dell’OMS sostengono che non devono essere usati per dimagrire o ridurre il rischio di malattie croniche.

In particolare se ne sconsiglia l’uso con l’ipotetico scopo di controllare il peso corporeo o di ridurre il rischio di malattie metaboliche.
Eritritolo, sucralosio, stevia ed altri dolcificanti entrati quasi nell’uso comune, sono stati identificati come possibili responsabili di molte mallattie cardiovascolari e i dolcificanti ipocalorici sono stati da molto tempo sospettati di facilitare l’ingrassamento, cioè il contrario dello scopo per cui sono stati “lanciati” sul mercato.
Per l’OMS i dolcificanti a zero calorie non facilitano il dimagrimento e non riescono a controllare le malattie metaboliche, anzi, sono correlati ad un aumento di problematiche proprio legate sia al calo di peso che alla ricomposizione corporea. L’unico approccio valido che può rendere efficace una terapia di riequilibrio del metabolismo è il controllo dei valori di glicazione.
Le associazioni di produttori difendono la loro “eticità” ribadendo che la riduzione delle calorie introdotte sia lo strumento d’eccellenza per cercare di dimagrire, mentre l’OMS è stata doverosamente portata a prendere atto di tutta la letteratura scientifica che da anni pone delle questioni importanti relativamente alla efficacia di queste sostanze.
Esistono prove evidenti che aspartame, saccarina, sucralosio e stevia (tutti dolcificanti classificati come NNS, Non Nutritive Sweeteners, cioè a zero – o quasi – calorie) determinano una reattività del microbiota umano e modificano la sua capacità di trasmettere effetti a valle sulla tolleranza al glucosio dell’organismo che se ne nutre.
Inoltre, indirettamente, i dolcificanti non placano “quella voglia di dolce” che ogni tanto potremmo concederci, portandoci magari ad abusare di quella preparazione fatta con il dolcificante (molto in voga oggi le varie ricette “fit” con dolcificante) vanificando così il controllo sull’introito calorico.
Siamo tutti d’accordo che limitare lo zucchero semplice porta ad un netto miglioramento della nostra salute, ma deve essere fatto un lavoro anche a livello psicologico, siamo noi che dobbiamo abituarci al “poco zuccherato” e non trovare scappatoie che, come abbiamo visto, portano ad altre problematiche!
Bisogna lavorare sul preservare il proprio metabolismo con cura ed attenzione, “volendogli bene”, in un certo senso, attraverso una corretta alimentazione.

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DIETA MEDITERRANEA È MANGIARE ALL’ ITALIANA?

La dieta mediterranea prevede un’alimentazione composta da vegetali, frutta, frutta secca, legumi, cereali meglio se integrali, olio di oliva, pesce azzurro, carne bianca e in minima parte carne rossa. Un pasto all’italiana invece: primo piatto, di solito pasta in porzione abbondante ( la porzione media cruda è 80g) secondo piatto generalmente insaporito dal suo sugo di cottura ricco di grassi, poca verdura di contorno, pane, vino, frutta, dolce, caffè magari corretto. In Italia se non mangiamo un pasto di questo genere sembra di non mangiare. Dopo aver mangiato con questa abbondanza di alimenti, cosa succede nell’intestino e nel nostro sangue? Ogni volta che noi mangiamo il sangue modifica la sua composizione in rapporto agli alimenti ingeriti, ed i valori del sangue che cambiano dopo ogni pasto sono quattro: 1- glicemia (glucosio carboidrati) 2- insulina (ormone del dopo pasto) 3- lipemia (trigliceridi, grassi alimentari) 4- amminoacidemia (amminoacidi derivati dalle proteine). Il tempo necessario per smaltire i nutrienti ingeriti con gli alimenti e arrivati nel sangue si chiama fase post prandiale. Più un pasto è abbondante, più un pasto è pesante da digerire, più è lunga la fase post prandiale, cioè più è lungo il tempo per smaltire tutti i nutrienti e più a lungo permangono nel sangue. Questi nutrienti dovrebbero passare dal sangue all’interno delle cellule, ma se le cellule non sono pronte (principalmente sono le cellule dei muscoli quelle più avide di nutrimento) ecco che si accumula grasso, in particolare nell’addome.
Il perdurare di questa situazione, porta ad una sindrome metabolica con sintomi sempre più gravi. Bisogna darsi una mossa e cambiare rotta!
Innanzi tutto cercare di essere più attivi per fare si che il muscolo sia più ricettivo verso i nutrienti. Il passo successivo è rientrare in quella che È la dieta mediterranea eliminando le abbuffate, gli alimenti trasformati, l’eccessivo consumo di dolci. Anche la sequenza degli alimenti di un pasto può esserci utile per ridurre il tempo della fase post prandiale. Iniziare il pasto con verdura cruda, mista, masticando bene per agevolare la sua digestione gastrica ed evitare reflusso gastro esofageo, passando poi ad un alimento proteico come pesce, carne bianca, carne rossa da animali grass feed, uova biologiche, terminando il nostro pasto con una porzione di pane integrale o cereali integrali, volendo mangiati assieme alle nostre proteine, il tutto condito con olio extra vergine di oliva a crudo.
A questo punto è solo questione di volontà a cambiare abitudini che un po’ alla volta ci stanno creando solo problemi.

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PICCHI GLICEMICI E CIBO

Quando mangiamo, il nostro stomaco scompone il cibo in parti molto più piccole, affinché il nostro intestino possa assorbire i vari nutrienti (proteine carboidrati e grassi) e semplicemente permetterci di vivere. Soprattutto un alimento ricco di carboidrati (può essere pasta pane riso patate frutta ecc) riversa nel nostro sangue un’importante quantità di glucosio, lo zucchero più semplice. Questo versamento, stimola il pancreas a produrre insulina per fare si che il glucosio penetri principalmente nei muscoli e ci fornisca energia.

Durante questo processo, l’insulina riduce anche la velocità di utilizzo dei grassi, cioè la loro degradazione e smaltimento da parte del nostro corpo, che generalmente avviene nel momento in cui “siamo a digiuno”, soprattutto di notte. Questa riduzione stimola la produzione e il deposito di trigliceridi (il famoso rotolino), il tipo più comune di grasso, che servirebbero a fornire energia, e che troviamo in circolo e nel tessuto adiposo. Queste azioni si traducono, nell’immediato, inevitabilmente all’aumento di peso. 

Se però un consumo eccessivo di carboidrati, o peggio zuccheri semplici (come possono trovarsi in bibite gassate, dolci anche se fatti in casa, caramelle ecc) avviene spesso o quotidianamente, avremo sempre più difficoltà a produrre insulina che un po’ alla volta non sarà più sufficiente nel togliere il glucosio dal flusso sanguigno. Questa condizione di glicemia alterata nel sangue protratta nel tempo, porta a sviluppare malattie neuro degenerative, sindrome metabolica, ipertensione, trigliceridi e acido urico elevati, diabete, depressione, patologie cardiovascolari e purtroppo, anche le patologie maligne.

Occorre quindi evitare una stimolazione continua e a picchi elevati dell’ormone insulina ad ogni pasto. Una strategia ideale è fare pasti con una buona quota di carboidrati preferibilmente nel pasto pre e successivo all’attività fisica e all’allenamento, in quanto è questo il momento in cui l’insulina viene maggiormente utilizzata per il suo scopo funzionale e non crea accumulo di grasso, ma favorisce il ripristino della struttura dei muscoli veicolando ad essi aminoacidi e glucosio, mentre negli altri pasti è bene mantenere sempre una quota molto esigua di carboidrati, e in alcuni pasti della settimana ridurla completamente a zero, privilegiando un pasto a base di proteine, grassi e verdure non amidacee.

Ovviamente queste strategie non sono univoche per tutti, i fattori in gioco da analizzare sono molteplici.

Non affidiamoci a diete fai da te o diete dell’ultima moda, cerchiamo sempre una figura competente che ci possa aiutare.

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Un caffè a colazione…e non ci vedo più dalla fame!

Che cos’è il cibo?

Il cibo, vi direbbe uno scienziato, è energia solida!

Anche se vera questa dichiarazione, detta così, perde di fascino.

Il cibo è cultura dei popoli, socialità delle persone, e vita…la nostra!

Partiamo dalla prima colazione: se fatta correttamente, mangiando carboidrati proteine e grassi, grazie ai segnali metabolici che inviano all’ organismo, rappresenta il primo momento fondamentale della relazione tra ogni essere umano e l’energia (appunto) contenuta negli alimenti. 

Ci sono moltissimi studi a confermare che non si tratta più solo del buon consiglio della nonna, ma è evidente che gli anni passati a bere solo un caffè volante, spesso troppo zuccherato, abbinato con la brioches tanto reclamizzata dalla pubblicità in TV, a base di farine raffinate, zuccheri semplici e creme dal dubbio valore nutrizionale sono stati anni persi per la salute.

Si è confermato dunque, in modo preciso, che dedicare quel momento della giornata prendendosi il giusto tempo, è importante, e che va ad interagire con l’organismo non solo attraverso le calorie apportate, ma attraverso lo stimolo e il segnale che coinvolge tutto il sistema ormonale e metabolico dell’organismo, che di conseguenza va a stimolare un

migliore stato di attenzione mentale al lavoro, una maggiore resa scolastica,

un aiuto al dimagrimento,e non meno importante aiuta a ridurre i picchi glicemici pomeridiani.

L’azione su leptina e adiponectina data da una prima colazione corretta, aiuta e facilita il dimagrimento e può avvantaggiare un indice di massa grassa corporea sicuramente ridotto rispetto a chi non la fa.

Inoltre, trasferire buona parte delle calorie sul primo pasto della giornata porta a ridurre la glicemia pomeridiana e a regolarizzare l’emoglobina glicata.

È un vantaggio perché ci permette di arrivare al pranzo con una fame giusta, ma ancor di più alla cena senza quella voracità da saccheggiare il frigo, che andrebbe ad interferire con un corretto sonno notturno.

Nella mia esperienza di miglioramento delle performance fisiche e mentali e l’interferenza sull’obesità e sull’infiammazione fanno sì che gli effetti positivi di una prima colazione bilanciata si possano verificare nel volgere di poco tempo in quasi tutte le persone che iniziano a nutrirsi bene. E il benessere che ne deriva è poi la miccia che porta le persone a migliorare i propri comportamenti alimentari per una sempre maggiore percezione di benessere. 

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Normalità o sacrificio?

Capita spesso, parlando con i pazienti, oppure frequentando la palestra, di ascoltare commenti verso persone evidentemente, almeno visivamente, in buono stato fisico. Non atleti nel vero termine della parola, ma persone con una pancetta almeno nei limiti della “buona salute”, e qualche muscolo segnato.

I commenti, forse fatti con una punta di invidia, sono del tipo: “chissà quanti sacrifici farà…sarà sempre a stecchetto…non andrà mai alle feste, aahahh io non farò mai una vita così”, ma il commento top: ” è fortunato perché ha una buona genetica”.

Un pensiero che più o meno tutti noi abbiamo fatto qualche volta.

Ebbene, la domanda che mi viene spontanea fare in questi momenti, sentendomi tirata in causa perché è questo il lavoro che faccio, è:

“Ma cosa fai tu per vivere in salute?” 

Ponetevi anche voi questa domanda…

Qualcuno troverà dei “motivi” che sanno di giustificazione per non fare niente, non dedicando nemmeno cinque minuti al giorno per un’attività faticosa (ovviamente rapportato al soggetto) che potrebbe essere salutare, non scelgono in funzione del proprio benessere, al limite solo quella di cercare di stare attenti alla qualità del cibo che spesso altro non è che l’acquisto di prodotti integrali o bio rispetto a quelli raffinati o della grande distribuzione.

Ma questo è poco, non è sufficiente al raggiungimento di un livello minimo di benessere. Per raggiungere almeno questo minimo, ciò che conta è fare, non importa cosa, non c’è una cosa che fa più di altre, ma fare, avere almeno la percezione, l’idea di far qualcosa di faticoso per iniziare a star bene, che non sia mangiare 20 grammi in meno di pasta o fare quella ricetta vista sui social perché è fit! Queste scelte servono a pulirsi la coscienza perché impegno di tuo non ci metti niente, o poco poco. Un minimo di sacrificio è doveroso, che poi si tratta solo di cambiare determinate cattive abitudini in favore di abitudini più sane. E’ questo il segreto, non la motivazione (necessaria all’inizio sicuramente) o chissà cosa. Se si è capaci di fare nostre le buone abitudini e renderle facili, queste ci aiuteranno anche ad avere molto più tempo perché non perderemo tempo ed energie in altre occupazioni meno salutari.

Alla fine finisce che facciamo solo e soltanto ciò che ci è più comodo. 

Lamentarsi per gli acciacchi, se non si sta bene, se non scende il rotolino,  tanti “se” che ci impediscono di fare! Perché contano le scelte che facciamo, che sicuramente non sono mai facili, contano le nostre priorità, contano i comportamenti, contano le abitudini, conta il fare. I discorsi fini a se stessi,  il “domani comincio” altro non sono che scuse. 

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Perché la glicemia alta danneggia le proteine del corpo?

Ormai sappiamo che l’insulina viene prodotta dal pancreas, e sappiamo anche che la produzione di insulina avviene soprattutto mangiando un pasto ricco di amido o zuccheri, ma sappiamo anche che la secrezione di insulina non è infinita, e una sua scarsa efficienza porta a tutta una serie di problematiche correlato all’aumento del glucosio (glicemia) nel sangue.

Ma perché si deve togliere il glucosio dal sangue?

Perché altrimenti il legame tra zuccheri e proteine determina la formazione di proteine alterate e malfunzionanti che si accumulano nei tessuti, determinando un malfunzionamento degli stessi.

Questo legame porta alla formazione di sostanze definite glicoproteine, che in seguito a diversi riarrangiamenti determinano la formazione di prodotti finali della glicazione, noti anche come AGEs (“Advanced Glycated End-Products”) o glicotossine. 

Gli AGEs si formano a causa dell’elevata quantità di zuccheri in circolo; pasti ricchi di carboidrati o zuccheri semplici, elevato consumo di alcolici o di prodotti dolcificati, pasti ricchi di fruttosio, soprattutto se non contenuto nella frutta intera, ma in succhi, bibite o merendine, determinano nell’organismo picchi di zuccheri, che a loro volta si legano a proteine formando appunto glicotossine. 

La formazione di AGEs avviene inoltre durante la cottura dei cibi che contengono grassi, proteine e zuccheri, in particolar modo se le cotture sono prolungate o a temperature elevate.. Ne sono un esempio tutti gli alimenti che presentano doratura o imbrunimento, come patatine fritte o carne alla griglia, ma anche tutti quegli alimenti altamente processati e contenenti additivi alimentari, come le bibite gassate.

Gli AGEs sono correlati a processi di invecchiamento cellulare, a complicanze del diabete, patologie cardiovascolari, infarto, ictus, malattia di Alzheimer, invecchiamento cutaneo e degenerazione del cristallino; agiscono alterando diverse reazioni, ad esempio modificano la struttura del collagene e quindi determinano indurimento delle pareti dei vasi sanguigni, o creano strutture fibrillari che determinano l’insorgenza di patologie neurodegenerative.

È evidente dunque, che dal momento che la formazione di glicotossine è proporzionale ai picchi di zuccheri, è bene ridurre questi picchi:

consumando sempre piatti bilanciati con carboidrati (preferibilmente integrali), proteine, grassi (olio per condire) e fibre; in questo modo infatti l’assorbimento di zuccheri a livello intestinale sarà minore grazie alla presenza di fibre, grassi e proteine evitando i picchi di zuccheri nel sangue;

evitando altresì il consumo frequente e quotidiano di zuccheri, dolcificanti e prodotti dolcificati;

preferendo la cottura al vapore e in umido, evitando invece quelle cotture ad alte temperature come le fritture, o le bruciature della carne alla griglia, che però non va demonizzata, ma bensì gustata con moderazione.

E per ridurre il potenziale ossidante degli AGEs nel pasto, ricordo e raccomando che a tavola non devono mai mancare verdure crude, olio extra vergine di oliva da utilizzare a crudo, spezie ed erbe aromatiche.

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Cibo e glicemia, non è una relazione lineare!

Abbiamo visto come, dopo un pasto, si alza la glicemia e viene stimolata la produzione di insulina da parte del pancreas. Tutto funziona correttamente finché non si esagera con le porzioni.

Ma cosa accade quando ci ritroviamo con la glicemia elevata anche se mangiamo poco o nulla?

Dobbiamo fare un salto a ritroso nel tempo, a tempi preistorici, un po’ più complicati della vita odierna: noi ci siamo adattati, il nostro organismo si è adattato, a sopravvivere in carestia piuttosto che in abbondanza!

Questo ha fatto sì che noi sviluppassimo la capacità di produrre un ormone, il cortisolo!

Il cortisolo è un ormone che l’organismo rilascia in risposta a STRESS, come digiuno, infezioni, ferite, sforzi fisici, condizioni termiche avverse, stress psicologico.

Il cortisolo possiamo definirlo come un ormone iperglicemizzante in quanto determina il rilascio di zuccheri e quindi di insulina. Esiste, quindi, una forte correlazione tra l’insulina ed una maggiore produzione di cortisolo. 

Il cortisolo è funzionale al nostro benessere se si innalza a seguito di uno stimolo (stress positivo come una sessione sportiva oppure uno spavento), ma è disfunzionale quando ci alleniamo troppo o ci sentiamo sempre minacciati e non ci prendiamo del tempo per riposare. Il risultato è che produciamo costantemente cortisolo per sostenerci, a sua volta il cortisolo va a catabolizzare il muscolo per ottenerne glucosio che in teoria dovrebbe servirci per salvarci da una possibile minaccia (energia per scappare dal leone che ci minaccia, o per combattere contro un nemico). 

Il risultato?

Perdita massa muscolare, 

riduzione della capacità di produrre cortisolo,

glicemia costantemente più elevata (con tutte le sue conseguenze), 

stanchezza cronica e persistente!

Tu come ti senti e come ti vedi?